CHARITY una mostra a scopo umanitario.

CHARITY una mostra a scopo umanitario.

di Simona Muzzeddu.
Si è conclusa venerdì 17 luglio 2015 la mostra chaRiTy”  curata da Elisabetta Longari e organizzata dall’Associazione Culturale “The sense of Artpresso la Nuova Galleria Morone di Milano.
 Un insieme di giovani pittori nati negli anni ’60 in Europa, dunque in certo modo figli del boom economico, uniti in un’esposizione non nel segno di affinità stilistiche o in nome di un tema che possa accomunarli, ma nell’idea e  nella pratica che vede l’arte anche come forma d’impegno.
Si legge nel comunicato stampa della mostra, realizzata con lo scopo di raccogliere fondi dalla vendita delle opere per sostenere progetti di scolarizzazione nel Maghreb. Si tratta,dunque,di una mostra per una buona causa ed io che sono sensibile al tema dell’arte come impegno sociale, decido di recarmi a Milano per visitarla.
Giunta nella bollentissima Milano, all’interno dello spazio espositivo, mi attende il gallerista Diego Viapiana, con cui mi sono trovata subito in sintonia. Forse perchè scambiando due chiacchiere con lui, vengo a sapere che è stato spesso nella mia Sardegna, ad esempio, in occasione della mostra ” Tracce di un Dio distratto” di un’artista a noi sardi molto nota, Maria LaiDiego  mi sembra una persona molto determinata nel realizzare i propri obiettivi, è perseverante e sa bene come svolgere il suo lavoro. Infatti, mi racconta la storia di come è riuscito a diventare gallerista lavorando per 15 anni nella Galleria Morone a fianco del fondatore Enzo Spadon che gli ha insegnato il mestiere. Ora è passata interamente a lui la direzione della galleria che ha rinominato “NUOVA GALLERIA MORONE”.
Nel frattempo, mentre io e Diego facciamo conoscenza, arriva uno degli artisti della mostra Alessandro Spadari.  Io ed Alessandro ci siamo conosciuti almeno sei anni fa all’Accademia di Belle Arti di Brera, quando lui faceva l’assistente del corso di Pittura ed io ero tutor d’ incisione calcografica. Di Alessandro posso dire che è un uomo iperattivo. Difatti, è molto difficile che lo troviate senza far nulla e quando non ha nulla da fare, se lo crea!!
Mi avvicino ai suoi dipinti e come sempre sono colpita da una sensazione di smarrimento. Mi sento catturata dal silenzio ovattato di un paesaggio che sembra avvolto da un’atmosfera nebulosa, data dal contrasto cromatico tra il bianco del cielo e del mare  e il nero della barca.  Un richiamo alla solitudine che spinge in qualche modo ad un contatto più intimista e profondo con se stessi. Sembra quasi che questi paesaggi siano fermi nel tempo e  che ci si senta sospesi in mezzo a loro. Questa sensazione di sospensione del tempo si contrappone a volte ad uno strano senso di libertà, danno origine ad un mondo interiore affascinante.

La mia visita alla Nuova Galleria Morone procede con l’opera dell’artista Jiulio Blancas, classe ’6 e di nazionalità spagnola. Blancas espone in diverse città europee, tra cui Madrid, Milano e Berlino. Mi avvicino alle sue opere forse in un primo momento perché sono attratta dal colore, in prevalenza scuro, dato dalla grafite su un supporto di formica. In questo dipinto è evidente  la gestualità dell’artista,continua, quasi ossessiva, che da vita a un  movimento ondulatorio dello spazio. L’occhio è catturato da questo movimento  come se volesse seguire il gesto creativo dell’artista che sembra condurlo nel proprio mondo interiore. Un sentiero ipnotico nell’oscurità con qualche spazio di luce,dato dalle chiazze bianche lasciate sulla tela che sembrano suggerisci una “sosta” o una “tregua” in mezzo al buio misterioso di questo viaggio interiore. A me piace immaginare queste chiazze bianche come delle “isole di salvezza” in mezzo ad un mare denso ed inquietante di grafite.  Anche qui, dunque, sensazioni contrastanti: l’agitazione suggerita dal nero della grafite,la calma e la riflessione delle campiture bianche.

Continuo il mio giro.
Una citazione del poeta-scrittore Jack Keruac mi fa soffermare sulla grande tela di un altro artista spagnolo: Felix Curto Il quadro dell’artista s’intitola “Everybody’s talkin”“. Già dalla scelta di citare nell’opera uno dei padri della Beat Generation si percepisce che l’artista è un animo ribelle, o meglio dire uno spirito libero. La tela sembra un “collage dipinto” di citazioni letterarie, nomi di attori e di musicisti famosi (come Harry Dean Stanton e  Jim Sullivan), ma anche di figure d’indiani d’America ( reminiscenze, forse, di un periodo di tempo vissuto dall’artista in Sud America). Difatti, l’artista è come se volesse farci entrare nel suo mondo reale, renderci partecipi dei suoi gusti in maniera molto libera.

Andiamo avanti.
Mi soffermo sull’opera di Antonio Marchetti Lamera soprattutto per la prevalenza di un colore a me molto caro, il viola.  Credo che questo colore abbia su di me delle proprietà curative. Io dico sempre che è il colore dell’anima, forse la mia… Un lavoro a prima vista astratto di fronte al quale l’occhio tende a strizzarsi, tenta di mettere a fuoco un’immagine con scarso risultato, forse è un movimento meccanico per cercare di poter riportare alla luce la nitidezza dell’opera. E allora mi allontano per vedere se riesco a trovare qualche forma, diventa un gioco alla scoperta di qualcosa che la mia mente vuole assolutamente vedere. Ma… niente… Si ritorna all’astrazione di partenza.

Mi sposto adesso sull’opera di un altro artista che ha lavorato con la luce:Marco Grimaldi. L’opera in questione s’intitola, per l’appunto, “Risonante Luce”. Infatti nel suo dipinto è la luce a realizzare delle figure tondeggianti non definite. Non so perché ma mi ricordano vagamente le lastre messe su una lavagna luminosa. Probabilmente per l’artista la forma è in secondo piano rispetto alle emozioni che vuole trasmettere con dei giochi di luce. La luce, difatti,crea il suo movimento all’interno del colore, generando così delle vibrazioni che fuoriescono dalla tela.  Casualmente anche la sua opera ha cromie sul viola.

 

Proseguendo la mia visita, incontro le opere di Dany Vescovi. Di lui so che è Professore di Cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Brera. Le sue opere fanno parte della sua serie di composizioni fotografiche di soggetto floreale. In queste caleidoscopiche composizioni non esiste la divisione tra sfondo e figure, si tratta di un’unico spazio scandito da linee e colori contrastanti per effetto della luce.  Io ho avuto quasi l’impressione di trovarmi di fronte allo schermo di una vecchia tv analogica con l’immagine disturbata dalle bande verticali colorate, che sicuramente tutti ricorderete.

 

Con gli occhi ancora pieni di luce e colori, mi dirigo verso il dipinto di  Leonida De FilippiLa prima cosa che mi viene in mente osservandolo è che sicuramente l’artista è partito da scatti fotografici su un reale paesaggio metropolitano, successivamente ridotto a linee essenziali e segni che ci rimando ai pixel di un’immagine fotografica digitale. Scenari metropolitani su sfondi asettici, bianchi che in un certo senso danno la sensazione di “pulito” ma anche di svuotamento della città. Cosa che nella vita reale direi sia quasi impossibile, o forse possibile solo nel mese di Agosto a Milano!  Anche De Filippi, lavora sul contrasto tra il bianco e il nero.

 

L’opera in esposizione al piano superiore della galleria è di Pipo Hernandez e s’intitola “corre, corre, corre..”. Le dimensioni sono talmente grandi che, sì, ti fa venire voglia di correre dietro a quel treno! Per poterlo afferrare, infatti, Hernandez ci ha messo pure delle maniglie vere. Per evidenziarle le ha dipinte di nero. Sì, il nero potrebbe pure dare la sensazione di volerle nascondere nell’enorme tela ma io dico che l’artista, invece, volesse metterle in evidenza. Infatti, come potete vedere dalla foto in basso, la rappresentazione realistica viene interrotta dalle grosse campiture di nero delle maniglie che catturano l’attenzione.La tentazione di afferrarle è stata per me davvero grossa.  Ora lo svelo, col ditino le ho toccate…

 

Arriviamo all’ultima opera, quella di Roberto Rizzo, nato a Cernusco (Milano) il 28 ottobre 1967 e diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1989. Si tratta di un quadro dentro un altro quadro realizzati con due tecniche distinte. Come se venisse interrotta un’enorme stesura monocromatica  con un riquadro dove invece ci sono diverse sfumature. Potrebbe anche rientrare nel concetto di pieno e vuoto dello spazio, spesso messo in discussione dall’arte. Rizzo sembra riempire solo in parte lo spazio della sua opera con la propria carica emotiva. Queste sono state le mie sensazioni, queste sono le riflessioni che questi artisti mi hanno trasmesso.

 

 

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