"Sarai il mio albero"

"You’ll be my Tree"

2015

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“Sarai il mio albero” è un’installazione multimediale realizzata da Simona Muzzeddu nel 2015 con l’intento di proseguire la sua indagine artistica sulla malattia iniziata nel 2012. Nella prima serie fotografica, Borderline linea di confine, l’artista affronta le malattie neurodegenerative di tipo organico, mentre nella videoinstallazione Borderline Psychotic Activity del 2014 si avvicina al tema della malattia neuropsichiatrica. Per l’artista si tratta in entrambi i casi di “cortocircuiti” della coscienza, che costringono la persona malata a resettare la propria esistenza su un senso di distacco e di sospensione dalla vita quotidiana e socialmente riconosciuta. Una condizione, questa, di crisi che tuttavia l’artista interpreta come il raggiungimento di un elevato grado di purezza. Nell’installazione “Sarai il mio albero”, invece, la Muzzeddu indirizza il suo interesse verso il corpo, che svela gli sconvolgimenti causati dal cancro soprattutto a livello inconscio. La differenza d’intenti e di metodo è già evidente nella scelta dei soggetti e nella costruzione delle opere: una sedia a rotelle bianca al centro di paesaggi al limite del “metafisico” in Borderline linea di confine e un uomo bloccato in una camicia di forza bianca all’interno di un ex manicomio abbandonato, in  Borderline Psychotic Activity. Per quanto riguarda la nostra installazione, invece, l’artista racconta di aver fatto una lunga passeggiata nei boschi e di aver avuto l’idea dell’opera all’improvviso, come una visione, dall’osservazione del diramarsi intricato ed irregolare degli alberi. Infatti, “Sarai il mio albero” mette in scena proprio la visione immaginata dall’artista e ne rimane strettamente legata. A partire dalla proiezione su parete di un video che riproduce il bosco osservato dall’artista. L’immagine genera di per sé sensazioni contrastanti. Dapprima ci si trova immersi in un senso di quiete dato dalla lontananza dal caos cittadino e dalla visione di uno spazio naturale scandito dalle file regolari dei tronchi degli alberi. Subito dopo, la visione viene disturbata da un senso di fastidio provocato dalla luce accecante dei raggi del sole, che penetrano improvvisamente dalle fronde degli alberi e danno vita a visioni anomale ed inquietanti. Si tratta d’ immagini reali o di allucinazioni provocate dalla luce? L’interrogativo rimane aperto ma veniamo comunque assaliti dal terrore, quando tra la fitta rete di alberi e di rami si materializzano (o sembra che si materializzino) delle scatole luminose. Ogni scatola contiene una specie di “radiografia” di una porzione anatomica di un corpo femminile. Lo schermo delle scatole, simile a un diafanoscopio, svela cosa sta avvenendo oltre la superficie di quel corpo “smembrato”. Con un rimando ad altre celebri opere della storia dell’arte e della letteratura, potremmo parlare di metamorfosi del corpo umano in albero. In questo caso, però, la trasformazione avviene silente e all’interno delle cavità più nascoste dell’essere, messe in luce solo dal materializzarsi visionario delle scatole. La chiave di lettura di questa metamorfosi è suggerita ancora una volta da una delle scatole luminose nascoste nel paesaggio, quella che contiene l’immagine ingrandita al microscopio di una cellula neoplastica. E’ allora chiaro che il ramificarsi incontrollato che avvolge le parti del corpo di una donna allude alla crescita impazzita delle cellule di un tumore. Ma i colpi di scena non finiscono qui! Un’altra scatola ci svela infatti a chi appartiene il corpo perchè contiene il volto terrorizzato dell’artista!

Quest’installazione si regge su un gioco di corrispondenze e di analogie non solo tra corpo umano e natura, che sembrano essere intimamente legati, ma anche tra il crescendo emotivo provato dal fruitore dell’opera e quello provato dall’artista. Difatti, in quest’opera la Muzzeddu si libera dei limiti bidimensionali del medium fotografico per portarci attraverso la tridimensionalità delle scatole oltre l’apparenza, nei meandri più profondi e nascosti del suo inconscio. E’ qui che conserva le insicurezze e le paure più profonde lasciate dalle esperienze dure della sua vita, in cui anche noi ci possiamo purtroppo ritrovare.

La luce in quest’opera dunque è una guida: se da una parte irrompe nella quiete per svelare un’atroce verità, dall’altra si diffonde per armonizzare e fondere in un unico paesaggio tutti gli elementi dell’opera e anche le nostre emozioni. Quasi a ricomporre la sensazione di calma apparente dell’immagine iniziale e a lasciare così un filo di speranza lungo il suo percorso. 

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light box 30x30x3cm


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Light box 30x30x3cm


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foto video frame di Sarai il mio albero

foto video frame di Sarai il mio albero

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foto dell' installazione

foto dell' installazione

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