Impressioni di un’artista | di Simona Muzzeddu
FONDAZIONE LUCIANA MATALON
Mi trovo a Milano, davanti al civico n. 67 di Foro Buonaparte, per entrare a visitare il Museo della Fondazione Luciana Matalon.
Mi accoglie il gentilissimo Presidente della Fondazione, Nello Taietti, che mi racconta la nascita dello spazio espositivo avvenuta nel 2000 per volontà dell’artista Luciana Matalon. Taietti, inizia subito a descrivermi la struttura del Museo. Mi dice che una parte è dedicata alla collezione permanente delle opere della Matalon, più precisamente tutta la parte retrostante. La pavimentazione è stata progettata e realizzata dall’ artista, che con resine e fibre ottiche ha voluto rappresentare lo spazio infinito dell’universo ( un riferimento ricorrente nei sui lavori). Nella prima parte della pavimentazione ha inserito tutti gli articoli sulle sue mostre usciti negli anni su riviste e giornali. I colori di questo particolare ‘mosaico’ richiamano tuttavia i colori della terra…
La parte anteriore dell’edificio costituita da ingresso, sala e soppalco ospita mostre temporanee, convegni e iniziative culturali a livello locale ed internazionale. Nel complesso è uno spazio di ben 700 mq.
Mi avvicino alla collezione permanente e inizio ad approfondire la mia conoscenza dell’artista Luciana Matalon. Scopro che ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera proprio come me, ma ovviamente in periodi lontani e differenti.
A primo impatto si percepisce dalle sue opere una stretta connessione non solo con il cosmo ma anche con il mondo onirico. Si intuisce in alcuni lavori l’influenza ad esempio di Fontana, Klee e Burri.
Una pittrice, scultrice sensibile, sintetica ed essenziale, a volte materica, a volte tendente all’astratto, altre invece più figurativa. Insomma un’artista che gode di una libertà formale senza limiti. Prende spunto dalla poesia, dalla letteratura, dalla filosofia e anche dalla nostra madre terra. La sua riflessione sull’ambiente che ci circonda è la presa di coscienza di un deterioramento evidente ai nostri occhi o forse anche semplicemente del rapporto uomo – natura. Dai primi anni ’70 agli anni ’80 i lavori dell’artista subiscono un primo cambiamento: dai primi lavori materici si passa a delle trame su tela che creano un percorso cucito e inserito come elemento pittorico. I fili escono dalle tele e sembrano creare una rete o una ragnatela tra una tela e l’altra. Nei primi anni ’80 i fili lasciano il posto alla grafia. All’interno del lavoro irrompono delle strisce che ritagliano la tela in zone, a volte decorative a volte hanno la funzione di accentuare forme e segni.
Colpiscono questi totem di varie dimensioni e forme. Un richiamo alle origini sia nel materiale che nell’idea stessa del totem. Chiave di lettura antropologica. Per intenderci, in ogni stele è come se cadessero dall’alto sovrapponendosi: rosoni, finestre, scale e pinnacoli. La scala è curiosa, si innalza al cielo irregolare. Ma mi viene da chiedere: questa scala che cosa collegherà? Quali mondi si congiungono, quello terreno a quello onirico? Ognuno di noi credo possa immaginare che quella scala porta comunque a qualche cosa, ed è la nostra immaginazione a dirci dove.
Insomma camminare in mezzo a queste opere è come fare un viaggio astrale e immergersi in un mondo onirico. Ricerca personale molto varia e cosmica, che dà la possibilità di fare un tuffo nello spazio senza tempo. Un tuffo nel mondo di Luciana Matalon. Un tuffo nel suo universo poetico.